Pazzali: Fiera Milano riparte con 17 eventi, nel 2109 46,5 miliardi per le imprese...
Presentato dal presidente di Fondazione Fiera Milano lo studio di da The European House – Ambrosetti sugli effetti della crisi sanitaria e le prospettive di sviluppo. "La fiera è uno strumento potentissimo di politica industriale ma servono nuovi modelli di business puntando su tecnologia e sostenibilità"
Fiera Milano questo mese riaccende i motori dopo il lungo lockdown e il blocco delle manifestazioni espositive che ha interessato tutto il settore, causato dall’emergenza sanitaria.
Ripartenza fondamentale per il made in Italy e per le Pmi, pilastro delle nostre esportazioni e dell’economia nazionale e lombarda. E lo studio strategico “Il futuro dell’industria italiana tra resilienza, rilancio dopo la crisi sanitaria globale e competitività di lungo periodo” realizzato da The European House – Ambrosetti per Fondazione Fiera Milano, presentato a Cernobbio da Enrico Pazzali, presidente della Fondazione e da Valerio De Molli, managing partner & ceo di The European House – Ambrosetti, occasione per guardare alla ripartenza e al futuro ma anche alle nuove sfide da affrontare per riprendere la strada della crescita.
“Il Sistema fieristico italiano può avere un ruolo cruciale nel sostenere la nuova narrazione del sistema-Paese e delle sue produzioni guida come aggregatore delle eccellenze del Paese e espressione della nuova immagine - ha detto Enrico Pazzali -. In Italia la tradizione fieristica è secolare: proprio nel 2020 ricorre il Centenario della Fiera di Milano e le Fiere, soprattutto quelle business-to-business, da sempre rappresentano uno dei principali luoghi di incontro tra domanda e offerta, di relazione tra filiere e catene del valore, di sviluppo e di innovazione, di volano per l’export e di promozione del Made in Italy”.
Le oltre 50 manifestazioni ospitate nei padiglioni di Fiera Milano nel 2019, a cui hanno preso parte quasi 25.000 espositori e 4 milioni di visitatori generano, per le sole aziende espositrici italiane, ricavi per 46,5 miliardi di euro e le vendite realizzate innescano un moltiplicatore di 3,1, ovvero per ogni euro di valore aggiunto realizzato dalle aziende espositrici per effetto delle vendite generate grazie alla partecipazione alla Fiera, si generano altri 2,1 euro nell’intera economia grazie all’attivazione delle filiere a monte e dei consumi.
Il contributo totale al Pil generato dalle “vendite fieristiche” è 53,7 miliardi di euro, equivalente al 3% del PIL nel 2019, quello dell’export 17,5 miliardi di euro.
“Questi dati fanno capire che la fiera è uno strumento potentissimo di politica industriale, ed è anche un esempio di rapporto pubblico-privato che funziona. Da qui a fine anno in Fiera Milano - ha sottolineato ancora Pazzali - sono in programma 17 eventi. Saranno fiere più piccole e con meno visitatori, soprattutto stranieri, attenzione alla sicurezza e all’innovazione tecnologica. Stiamo comunque lavorando insieme al ministro Di Maio, allo scopo di creare dei corridori sanitari per i buyer stranieri. Siamo ottimisti i vista di una riorganizzazione delle prossime fiere e al momento nessuna manifestazione in programma nel 2021 è stata cancellata anzi, il calendario è attualmente fin troppo affollato”.
"L'effetto Covid ha riposizionato il sistema delle fiere. A livello internazionale ci sono spinte di consolidamento e anche noi, come Fiera Milano, dovremo diventare più grandi, internazionali per affrontare il mercato globale. Le fiere che sopravviveranno saranno quelle leader, come ad esempio il Salone del Mobile o TuttoFood - ha aggiunto ancora il presidente di Fondazione Fiera Milano-. Bisognerà inoltre puntare su tecnologia e sostenibilità, che saranno strumenti di competitività molto più importanti di prima, creando nuovi modelli di business".
Strategie e modelli di business indispensabili per tornare ad essere competitivi sui mercati per sostenere il Dna competitivo dell’industria italiana che ha consentito al Paese di avere un ruolo chiave per lo sviluppo della manifattura europea e mondiale. Come si rileva infatti nello studio, a fine 2019, l’Italia rientrava nella top 5 mondiale dei Paesi con surplus manifatturiero superiore ai 100 miliardi di dollari, 922 prodotti italiani (su un totale di 5.206) rientravano nelle prime 3 posizioni al mondo per surplus commerciale.
Tra le prime 10 Province europee super specializzate nella manifattura 4 erano italiane e l’Italia aveva un ruolo chiave nelle catene del valore internazionali, non solo in termini di “valore contabile” delle esportazioni ma anche per il valore aggiunto insito nelle fasi intermedie di lavorazione di molte produzioni nel Paese come ad esempio il contributo alle lavorazioni intermedie del settore automotive, del settore dei macchinari, dell’industria chimica.
Ma la ripartenza si lega anche alla necessità di intervenire sulle grandi questioni di fondo che frenano il potenziale dell’industria italiana, la sua competitività e attrattività rispetto ai competitor internazionali: rallentamento della produttività, funzionamento poco efficace della pubblica amministrazione, ecosistema dell’innovazione ancora poco dinamico con l’Italia che investe l’1,39% del Pil inricerca&sviluppo mentre l’obiettivo europeo è del 3% a fine 2020; diffusione di una cultura antindustriale; progressivo impoverimento delle relazioni tra l’industria e le parti sociali.
“Mai come oggi è fondamentale avere una visione che possa guidare questa trasformazione, all’interno del nuovo panorama tecnologico e competitivo globale - ha spiegato Valerio De Molli -. La visione per la trasformazione dell’industria italiana proposta da The European House – Ambrosetti è essere il Paese di riferimento nello sviluppo delle eccellenze per far vivere meglio il mondo”.
Fonte: ilgiornale.it
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